Con il secondo allestimento de La terra nostra è un mostro di mare si chiude il terzo ciclo espositivo che KORA-Centro del Contemporaneo ha dedicato al tema dell’abitare.
A cura di Claudio Zecchi e Paolo Mele, la mostra cerca di approfondire un tema complesso e sempre attuale come quello del Mediterraneo, provando ad indagarlo da prospettive differenti.
La casa e il villaggio hanno agito nel corso di questi anni come dispositivi narrativi atti ad interrogarsi sulla dimensione istituente di un Centro di produzione e ricerca sul contemporaneo (Home Sweet Home – esplorazioni dell’abitare, 2021-22) e sulla scelta consapevole di una posizione di marginalità come osservatorio privilegiato e strumento di produzione culturale con l’ambizione di rimettere discussione le nozioni di centro e periferia (Parla del tuo Villaggio, 2022-23).
In questa mostra il Mediterraneo, inteso come terra e mare allo stesso tempo, luogo di contrasti e contraddizioni, viene proposto come possibile unità di misura e ipotesi di un cambiamento di paradigma. Seguendo questa linea, tutte quelle peculiarità che possono sembrare apparentemente improduttive e inutili assumono valore e allargano il nostro immaginario. Come i Fannulloni di Cossery, che si ostinano a non agire scegliendo di dormire tutto il tempo come strategia di resistenza, la lentezza, la magia, il folklore, la superstizione e la tradizione vernacolare non sono una caricatura del mondo ma diventano, o potrebbero diventare, lenti e strumenti di interpretazione attraverso cui l’esperienza che ne facciamo può farsi più ricca, ampia e plurale. Voci, quindi, altrettanto autorevoli capaci di condurci verso destinazioni impreviste, improduttive, spesso non programmabili, piene allo stesso tempo di contraddizioni e contrasti.
L’opera di Riccardo Giacconi e Carolina Valencia Caicedo Scarcagnuli, il cui incipit dà il titolo alla mostra, sposta costantemente, attraverso il racconto di storie personali che s’intrecciano con la tradizione, il folklore e i riti del posto, il rapporto tra realtà e finzione partendo da una forte attinenza al territorio in cui è stata realizzata: il Capo di Leuca. L’opera, non solo allarga i confini spazio-temporali, ma rimette in gioco la specificità di un posizionamento geografico che, come dicono i pescatori di Santa Maria di Leuca, è allo stesso tempo inizio e fine, ma anche uno spazio di approdo e passaggio nel cuore del Mediterraneo.
Seguendo questa direzione, la mostra intende ragionare ed interrogarsi sulla relazione tra la terra e il mare, su come questi due elementi trovino punti di accordo ma allo stesso tempo di disaccordo e di tensione, e su come, infine, le immagini prodotte da questa relazione creino un paesaggio in continua evoluzione e spesso indefinibile. Un piano capace di aprire a nuovi immaginari, offrendosi a una molteplicità di accessi fatti di suggerimenti ed intuizioni più che di strade obbligate.
Il Mediterraneo diventa, in questo senso, depositario di possibilità e di aperture; una piattaforma in cui la perdita di controllo, la fragilità, i coni d’ombra, gli inciampi e gli scarti possono diventare ulteriori possibilità dell’esperienza umana.
Se con il primo allestimento si è tentato di costruire una geografia dell’infedeltà, una mappatura in cui forte si avvertiva la tensione tra il luogo di origine e il desiderio di allontanarsi da esso, seguendo uno slancio ottimista, con il secondo, si produce uno slittamento di senso attraverso il quale i fenomeni migratori prodotti dagli attuali modelli politici e sociali sono spesso frutto di fallimento e non di riscatto sociale.
Scarcagnuli di Giacconi e Caicedo funziona nuovamente come opera di apertura della mostra e allo stesso tempo segna il perimetro, la cornice geografica e culturale all’interno della quale ci muoviamo: Leuca, la fine e l’inizio al tempo stesso dell’Italia ma anche un porto nel cuore del Mediterraneo. Un ritratto sonoro sull’idea di estremo nelle sue più sfaccettate declinazioni e un incedere di storie personali che s’intrecciano con la tradizione diventando così universali.
All’interno di questo perimetro, si collocano le opere di Coclite, Hall e Imaginary Holydays. Entrambi affrontano questioni di natura politca e sociale che appartengono al territorio salentino ma potrebbereo essere, allo stesso tempo, la manifestazione di riflessioni di molte altre realtà.
Queste si focalizzano infatti sull’analisi della trasformazione del paesaggio, dei mutamenti politici e sociali nel territorio salentino e utilizzano l’architettura delle colonie estive come lente di osservazione. Attraverso questi due lavori l’artista esplora alcuni fenomeni che hanno segnato la provincia di Lecce negli ultimi decenni, anni caratterizzati dalla deindustrializzazione e dal declino delle attività rurali che hanno portato alla transizione dalla produzione industriale alla predominanza del settore turistico, evidenziandone limiti e criticità.
Seeds/ Si Siz di Ciancimino è invece una mappatura delle piante che crescono sulle coste (i semi delle piante contengono la memoria delle specie vegetali che si modificano per naturalizzarsi sulle rocce e sui terreni sabbiosi in cui approdano). Una cartina che prende di volta in volta nuove forme a seconda dei luoghi che la ospitano disegnando così rotte sempre diverse; una giungla di segni istintivi che rimanda visivamente alle origini culturali dell’artista influenzate dalla decorazione architettonica Arabo Normanna e dall’Art Nouveau. Un vocabolario visivo che annuncia delle possibilità
En Route to the South – Parallel migrations di Mazzi e Sorbello, è un’installazione che si basa sulla giustapposizione tra la pratica dell’apicoltura nomade e il fenomeno della migrazione umana. Nel caso del capitolo sviluppato nel corso della residenza avvenuta a Gagliano del Capo nel…i due artisti si sono concentrati sulla condizione in cui versa l’apicoltura nel Capo di Leuca costretta a sostituire il tradizionale metodo di allevamento stanziale con quello nomade a causa di scelte economiche, politiche e di gestione ambientale che hanno compromesso la biodiversità del territorio.
Infine Flu水o di Alessandro Sciarroni, nasce dalla necessità di rimettere in prospettiva un momento specifico e significativo della storia dell’arte – il periodo pre-Fluxus in Giappone – con le storie dei nostri giorni. Tema centrale di questo progetto è l’acqua, elemento indispensabile alla vita e sostanza di immensa forza poetica che può essere al tempo stesso luogo di morte e annullamento, e cuore di istanze sociali, politiche e antropologiche di stringente attualità.
Chiude la mostra Parata per il paesaggio di Andreco. Un’opera d’arte pubblica collettiva che parte da un’indagine sul territorio del Capo di Leuca e si manifesta in una parata lungo il litorale. La parata ha percorso tutto il golfo di Leuca da punta a punta, unendo simbolicamente, al tramonto, Punta Ristola e Punto Meliso risolvendo il dilemma dell’antica leggenda della sirena Leucasia che divise, per gelosia, i due amanti Aristula e Melisso. L’opera si pone come obiettivo la rivalutazione di alcuni aspetti e percezioni legate ai confini del paesaggio concentrandosi su aree di transizione tra il paesaggio terrestre e quello marino: le scogliere. “Parata per il Paesaggio” vuole essere, quindi, una riflessione sul concetto di limite naturale e di confine politico.
L’opera ha dato origine ad un ciclo di Parate che fanno parte ancora oggi della pratica artistica dell’artista e verranno presentate in forma di video programmazione nel corso della mostra.
Artisti in mostra: Andreco, Riccardo Giacconi, Carolina Valencia Caicedo, Gabriella Ciancimino, Luca Coclite, Elena Mazzi, Rosario Sorbello, Alessandro Sciarroni.