L’idea di fine è sempre stata oggetto di riflessione per la specie umana, che l’ha trasposta al cinema, in letteratura e in arte, in un tentativo di padroneggiarla, sintetizzarla, comprenderla. Perché l’apocalisse, personale e globale, dovrebbe condurre a una rivelazione – dal greco kalýptein; disvelare. O forse, più semplicemente, trattare l’apocalisse porterebbe a esorcizzare una paura condivisa poiché è parlando della cosa che, scaramanticamente, si allontana la possibilità che questa accada. Forse, guardandone la sua distruzione, potremo finalmente riuscire a vedere come è fatto il mondo. “I mari, le montagne. Il poderoso contro spettacolo delle cose che cessano di esistere. La sconfinata desolazione, idropica e gelidamente terrena. Il silenzio”.
Play Dead! prova a indagare il concetto di fine (e il suo opposto, l’inizio, il nuovo inizio. L’alfa e l’omega). All’interno di una maglia interlacciata e agentica il progetto mette a confronto differenti punti di vista, cellule dove poter esperienziare le reciproche connessioni tra biotico e abiotico, tra vita cibernetica e morte fisica, tra tangibilità dei limiti fisici e l’illusorietà di uno scroll eterno. Satelliti attraverso i quali riflettere sulla minaccia della dis-astro globale, sul suicidio collettivo e il desiderio di resurrezione o sul senso di ombra perturbante dal futuro.
Attraverso visioni religiose e animistiche nonché teorie e pratiche concettuali, postumaniste, transumaniste ed ecologiste il progetto tenta di sperimentare il superamento del limite, ponendo domande come, cosa troviamo oltre la fine? E oltre la morte? La morte rappresenta necessariamente la fine, possiamo prendere in considerazione la possibilità di essere contemporaneamente vivi e morti o né vivi né morti, al di fuori dello sguardo dell’altro?
La fine del mondo è già avvenuta, sta avvenendo o avverrà? Se, come sostiene Heidegger, per mondo intendiamo “una totalità di senso”, esso non è mai realmente esistito. Esistono solo porzioni di mondo, quelle con cui entriamo in relazione di volta in volta. Si tratta quindi di fare i conti con questa fine – che però è sempre allo stesso tempo (un altro/primo) inizio? Riuscire a vedere già il mondo alla luce della catastrofe finale, significa vederla come un giorno apparirà o riconoscere la sua contemporaneità morfologica con noi?
La mostra durerà un anno e – se saremo ancora vivi – nel corso dei mesi potremo assistere ad un processo randomico di evaporazione delle opere, scompariranno per lasciare spazio a reincarnazioni virulente e espansive da parte di altri artisti. La mostra partirà quindi da una precisa conformazione e visualizzazione per ritrovarsi totalmente diversa al suo finire. L’abbandono produrrà una metamorfosi, una nuova vita, o meglio, nuove forme di vita innescate da altrettante morti.
Le opere coinvolte nel primo stato/corpo della metamorfosi del progetto sono fortemente connotate dall’uso (concettuale, visivo, poetico, politico, performativo, mitico) della parola, il verbo, il principio (della fine).
Everytime you switch me off, I die. A Little.
Tutte le opere in mostra sono connesse con il fenomeno del tempo chronos (time-based). Sono opere che hanno bisogno di essere “accese” durante gli orari di apertura della mostra. Ma cosa succede quando la mostra chiude e le opere vengono spente? Dove vanno a finire quando noi non ci siamo? Sono temporaneamente morte o migrano da qualche parte oltre lo sguardo dell’umano vivente?
– *Il titolo Play Dead! (da intendersi anche come “fingiti morto!”) fa riferimento alla morte apparente; un comportamento attraverso il quale gli animali così come alcuni funghi o le piante “fingono” di essere morti. Si tratta di uno stato di immobilità innescato da un atto traumatico, predatorio, difensivo o riproduttivo e può essere osservato in una vasta gamma di animali, dagli insetti e crostacei ai mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci e, naturalmente, negli esseri umani.Play Dead! prova a indagare il concetto di fine (e il suo opposto, l’inizio, il nuovo inizio. L’alfa e l’omega).
Artisti in mostra: Jenny Holzer, David Horvitz, Martine Syms, Lu Yang.
a cura di Like a little disaster
La mostra fa parte del progetto Borgo del Contemporaneo.
La mostra è supportata mentalmente/spiritualmente da Wecroak app Si tratta di un’app che ogni giorno e in orari random ti invia cinque esortazioni a fermarti e pensare alla morte. Si basa su un detto popolare bhutanese secondo cui per essere una persona felice bisogna contemplare la morte cinque volte al giorno.