Questo (non) è un museo è un progetto espositivo che intende proseguire una linea di ricerca decennale su pratiche e metodologie sperimentali, artistiche e istituzionali, provando a costruire nuove sensibilità e possibili forme di narrazione e coinvolgimento di un territorio.
Lo fa a partire da una collezione già esistente, quella di Ramdom, le cui opere sono nate, per la maggior parte, da processi, contesti e ambiti di ricerca molto specifici. Riproporle tanto in una nuova veste, quanto in altre aree geografiche, o luoghi, significa provare ad indagarne e ampliarne i significati. A queste si affiancheranno nuove produzioni che popoleranno Castrignano de’ Greci nel corso dei prossimi anni.
Il progetto, che durerà almeno sino a giugno 2026, è il tentativo di misurarsi e rimettere in discussione i limiti o il potenziale di un’istituzione culturale, quella museale nel caso specifico, interrogandosi sulla sua funzione, sulla sua pratica e sulla sua capacità di agire in un territorio creando nuovi immaginari.
Questo (non) è un museo è in questo senso un tentativo (sebbene non del tutto nuovo) di natura metodologica per provare a trovare al di fuori di KORA, fino ad oggi il cuore pulsante della nostra proposta culturale, nuovi spazi di sperimentazione fuori dal controllo e di messa in discussione dell’istituzione stessa.
Per questo secondo capitolo, a cura di Claudio Zecchi e Paolo Mele, abbiamo scelto opere della collezione di Ramdom che poggiano su una forte dimensione politica e sociale. Come dice Carlos Basualdo, la forza dell’arte sta nello sviluppare «rappresentazioni innovative che sfuggono all’interpretazione politica» e gli artisti scelti, anche se in modo non sempre dichiarato, considerano il loro un ruolo attivo nella società e l’arte un vettore attraverso il quale rigenerare uno sguardo critico portatore di una consapevolezza più ampia. Una consapevolezza che riguarda temi di grande attualità come l’attivazione di pratiche istituzionali nei piccoli centri, l’ecologia, i flussi migratori e il femminismo per citarne alcune.
Il lavoro di Luigi Coppola dal titolo Vinculum, così fortemente connaturato al territorio Salentino, racconta, attraverso opere originariamente pensate per lo spazio pubblico di Castrignano de’ Greci, e poi re-installate nell’arco del Bar di KORA, gli anni di sperimentazione e ricerche negli uliveti salentini colpiti da co.di.ro. L’artista rende visibili le forze generatrici ancora presenti nei campi di ulivi, dati nella maggior parte dei casi per spacciati, e costruisce nuovi legami (Vinculum): qui gli esseri umani, diventando parte del paesaggio, si prendono le responsabilità delle scelte scellerate rispetto all’espansione della monocoltura, l’impoverimento del suolo, il rigetto della vita contadina e della cura dei propri ecosistemi. Attraverso un radicale ripensamento del nostro stare e agire, possiamo pensarci come agenti nei cicli della materia, ed accompagnare i processi naturali di agroforestazione del territorio per costruire un paesaggio multiplo.
Le opere di Vinculum, dipinti e disegni su tela, sono pensate come un percorso visivo per rendere iconiche le piante, i gesti riparatori, i suoli, le radici.
Arachne di Romina De Novellis, è invece una fotografica realizzata durante la performance che ha rappresentato il punto d’arrivo del lavoro di ricerca svolto dall’artista sul fenomeno del tarantismo. Applicando una metodologia propria dell’etnologia, De Novellis ha voluto dare una lettura in chiave antropologica delle tarantate contemporanee, un’osservazione che ha incluso dinamiche sociali, culturali e politiche in cui il Salento e le sue donne sono inevitabilmente inserite, anche e soprattutto nella prospettiva di un’Italia schiacciata tra l’Europa e il Mediterraneo. Questa ricerca si è formalmente tradotta in una performance, realizzata il 10 giugno 2018; una lunga camminata che ha visto protagonisti l’artista e un gruppo di donne che si sono spontaneamente aggiunte nel corso del tragitto che va da Galatina a Santa Maria di Leuca, in una sorta di pellegrinaggio al contrario rispetto a quello percorso nella tradizione da chi si recava a chiedere la grazia a San Paolo. Pur non nascendo da un bisogno di protesta o di rivendicazioni femminili, la marcia di Arachne ha voluto lasciare una traccia del presente: la questione del genere, le donne, i migranti, le tradizioni religiose che limitano l’osmosi tra le culture, tutti temi di estrema attualità, che restano argomenti di discussione e di esclusione nelle società del Mediterraneo.
Infine Corpomorto di Elena Bellantoni è un’opera che, a partire da una serie di meditazioni intorno all’oggetto e al suo nome – corpo-morto evidenzia con il peso del cemento la presenza di molti corpi morti nei mari; an-coraggio sottolinea l’azione del buttarsi, il coraggio di avvicinarsi, attraccare e raggiungere la terra ferma. Corpomorto è infatti un termine marinaresco che indica un oggetto pesante utilizzato come ancoraggio sul fondo di una boa o di un pedagno.
L’artista ha originariamente messo in atto un’azione performativa durante la quale ha ancorato delle lettere in polistirolo con delle lastre di cemento in fondo al mare a comporre la frase nominale ancóra corpo-morto tra cielo e terra coraggio. Pur senza predicato, la frase diventa monito, messaggio in codice, poetico e politico.
Artisti in mostra: Elena Bellantoni, Carlos Casas, Lia Cecchin, Luigi Coppola, Romina De Novellis, Marcello Nitti, Matteo Pizzolante, Theodoulos Polyviou e Alfaith, (Grazia Amelia Bellitta, Paolo Bini, Alice Caracciolo, Alice Di Nanna, Elena Eugeni, Sara Fiorentino, Rebecca Fuso, Nicola Guastamacchia, Vincenzo Luchena, Mariantonietta Clotilde Palasciano, Rossana Viola, Apo Yaghmourian.
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